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Oceani, i molluschi muoiono d’inquinamento

L’inquinamento delle acque degli oceani continua a peggiorare nonostante l’opera di sensibilizzazione e le battaglie portate avanti negli ultimi anni da tante associazioni ambientaliste. Il protagonista di uno splendido film degli anni Ottanta, Point Break, diceva che “l’oceano ci ricorda quanto siamo veramente piccoli”. Oggi purtroppo ci ricorda anche quanto l’azione dell’uomo stia sempre più mettendo a rischio la sua natura. La progressiva acidificazione degli oceani, infatti, oramai da anni, sta danneggiando la fauna marina. Stando a un nuovo studio pubblicato dai biologi dell’Università di Chicago, i gusci delle cozze della California pescate al largo delle coste di Washington negli bd3a0e91-577d-41db-b04d-49ffe0ddc39fanni Settanta del secolo scorso, erano in media del 32 per cento più spesse rispetto agli esemplari che si raccolgono oggi. Ma c’è di più. Pare che le conchiglie dei molluschi in genere, raccolte dai nativi americani tra i 1000 e i 1300 anni fa, avessero avuto gusci di spessori più consistenti, mediamente del 27 per cento in più, dei molluschi moderni. Lo spessore dei gusci che è andato decrescendo progressivamente nel tempo, in particolare negli ultimi decenni, è probabilmente da mettere in relazione con le condizioni degli oceani a seguito dell’aumento di anidride carbonica atmosferica. «Materiale d’archivio ereditato dai pescatori di un tempo, ora in possesso del Centro di Ricerca per le Culture Makah, popolazioni indigene residenti nei territori dell’estremo nord-ovest degli Stati Uniti che si affacciano sull’Oceano Pacifico, ha consentito di documentare lo spessore del guscio delle cozze di un passato remoto», afferma Cathy Pfister, docente di Ecologia ed Evoluzione all’Università di Chicago, autore leader dello studio che ne è scaturito e i cui risultati sono stati resi noti sugli Atti della Royal Society B. Da quando gli esseri umani bruciano i combustibili fossili gli oceani non fanno che assorbire gran parte del carbonio rilasciato nell’atmosfera. Questo processo, a lungo andare, provoca l’acidificazione delle acque, un fenomeno ormai noto a tutti i livelli. Cozze, ostriche e alcune specie di alghe incontrano così serie difficoltà nel produrre, in ambienti simili, i loro gusci di carbonato di calcio e i propri scheletri, diventando in tal modo i principali indicatori di quanto l’acidificazione degli oceani possa colpire la vita marina.

 

Il lungo incubo degli oceani

In studi precedenti, la Pfister e i suoi colleghi avevano registrato una diminuzione del pH nelle acque circostanti Tatoosh Island, l’isola del Pacifico al largo della costa dello Stato di Washington. Nel 2011 i ricercatori analizzarono ulteriormente gli isotopi del carbonio e dell’ossigeno prelevati dai gusci delle cozze che erano state raccolte dalle locali tribù Makah tra il 668 e il 1008 d.C. e dalle conchiglie raccolte dai biologi negli anni Settanta del secolo scorso. Per il nuovo studio i ricercatori hanno confrontato gli spessori degli stessi gruppi di conchiglie. In media, i gusci forniti dal Centro di Ricerca per le Culture Makah sono stati trovati più spessi del 27,6 per cento rispetto alle conchiglie moderne. Gli studiosi sottolineano che i loro risultati destano delle preoccupazioni d6eb8cda-872c-4a79-993d-d41282f325c6anche per la capacità dei mitili della California di poter mantenere il loro ruolo di specie fondamentale in queste acque. La diminuzione dello spessore dei gusci li rende infatti più vulnerabili per i predatori e più esposti ai disturbi ambientali. È una reazione a catena, perché il fenomeno potrebbe influenzare le interazioni con centinaia di altre specie di organismi che vivono nello stesso habitat dei mitili delle acque costiere intercotidali. Altre conseguenze verificate dell’impatto che questo processo sta avendo sulle specie animali interessano le lumache marine. A studiarne gli effetti il British Antarctic Survey di Cambridge in collaborazione con laUniversity of East Anglia. Nel rapporto sugli effetti dell’acidificazione degli oceani nell’area sud del globo, riportato sulla rivista “Nature Geoscience”, i ricercatori sottolineano come dalle misurazioni effettuate si stia assistendo a una vera e propria dissoluzione delle conchiglie delle lumache marine, quest’ultime fonte di cibo per uccelli e pesci. Il loro ruolo è inoltre importante nello stesso processo di regolazione del ciclo del carbonio nel mare. Anche in questo caso, responsabile principale di questo processo la CO2 atmosferica, che viene per un quarto assorbita dagli oceani trasformandosi in acido carbonico. Neanche la “farfalla di mare”, un piccolo mollusco semitrasparente il cui habitat sta per essere trasformato in un bagno acido, sembra potersi salvare. Al largo della costa ovest degli Stati Uniti vivono da 100 a 15mila esemplari di queste lumache in ogni metro quadrato. E gli oceani hanno cominciato a sciogliere i loro gusci. Secondo un nuovo studio, uno dei primi a esaminare l’impatto dell’acidificazione degli oceani sulla vita pelagica, circa la metà degli pteropodi al largo della costa ovest sarebbero coinvolti nel bagno acido.

 

Una situazione che sembra senza soluzione

Gli oceani hanno assorbito circa un terzo delle emissioni umane di anidride carbonica, subendo così un aumento dell’acidità. I cambiamenti intervenuti nella chimica delle acque sono noti da tempo agli scienziati, che da più parti hanno ricordato come questo renda le creature con supporti in calcio estremamente vulnerabili. «Queste sono alcune delle prime intuizioni circa gli effetti dell’acidificazione sulle creature marineracconta la dottoressa Nina Bednarsek,db828ec3-be04-4763-89ea-c39f2c9c6bbb tra gli autori dello studio del National Oceanographic and Atmospheric Administration – circa il 50 per cento delle farfalle di mare è colpito dall’acidificazione. È una percentuale elevata, più elevata di quanto ci aspettassimo». E che è anche arrivata con largo anticipo. La dottoressa ha spiegato che l’acidificazione sta avvenendo in tempi più stretti e su una scala maggiore rispetto alle previsioni degli scienziati. «È uno dei segnali di quanto stiamo modificando il nostro ambiente naturale». La ricerca stima che negli habitat in prossimità delle coste, l’incidenza della dissoluzione dei gusci degli pteropodi dovuta all’acidificazione degli oceani è raddoppiata rispetto all’epoca pre-industriale, e triplicherà entro il 2050. In altre parole, gli oceani stanno per diventare un caos acido, e molti degli organismi che lo hanno abitato per milioni di anni potrebbero non poterci più vivere.

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