
Rischi il carcere e 5.000€ di multa se uccidi questi insetti - biopianeta.it
Uccidere gli insetti è legale? Il Codice penale italiano vieta l’uccisione degli animali, ma non sempre include gli insetti. Ecco cosa dice davvero la legge.
Uccidere un cane o un gatto è considerato un reato. Lo dice chiaramente il Codice penale, lo confermano le sentenze, lo accetta l’opinione pubblica. Eppure, quando si tratta di insetti, la reazione cambia. Mosche, zanzare, scarafaggi e formiche vengono eliminati senza esitazione, anche con mezzi commerciali esplicitamente pensati per lo scopo. Ma se la legge parla genericamente di “animali”, che differenza c’è dal punto di vista giuridico? Davvero uccidere un insetto è sempre consentito? E se no, perché nessuno viene mai perseguito?
Il reato di uccisione di animali e la questione degli insetti
La norma di riferimento è l’articolo 544-bis del Codice penale, che punisce chi uccide un animale “per crudeltà o senza necessità”. Non fa differenza tra razze, né tra specie: il testo usa il termine generico “animali”, senza ulteriori classificazioni. Questo, in teoria, include tutti gli esseri viventi appartenenti al regno animale, compresi gli insetti. Ma la realtà giuridica non è così lineare.
Nel concreto, esistono categorie distinte: animali domestici, selvatici, protetti, da compagnia, da reddito. E ci sono contesti in cui l’uccisione è considerata necessaria: per l’alimentazione, per motivi igienico-sanitari, per proteggere colture o ambienti abitativi. Gli insetti, in particolare, sono visti come elementi infestanti, capaci di compromettere la salubrità di un ambiente o trasmettere malattie. Questo basta, spesso, a giustificare la loro eliminazione.
La necessità diventa così l’elemento centrale. Se l’azione viene compiuta senza crudeltà, per rimuovere un pericolo o un fastidio legittimo, allora non c’è reato. Diverso sarebbe, in teoria, se un soggetto uccidesse deliberatamente e con sofferenza un animale senza alcun motivo valido. Ma nel caso degli insetti, la giurisprudenza non ha mai dato rilievo penale a situazioni del genere, se non in rari contesti protetti, come per alcune specie di api o farfalle.
Quando l’uccisione dell’insetto può diventare reato
Il confine legale si traccia con due criteri: la volontarietà dell’atto e l’assenza di motivi validi. Il dolo, cioè l’intenzione di uccidere, deve essere provato. Ma non basta. Deve anche mancare una necessità reale. Solo in queste circostanze può configurarsi un reato. Non si può parlare di reato, ad esempio, nel caso di una formica schiacciata accidentalmente. Né nel caso di uno scarafaggio eliminato in cucina per motivi igienici.

Le attenuanti giocano un ruolo decisivo: se l’azione è motivata da un’esigenza reale (anche solo percepita come tale) e non c’è sofferenza prolungata, è improbabile che venga contestato un reato. E se anche lo fosse, la pena prevista, da sei mesi a tre anni di reclusione o una multa fino a 30.000 euro, difficilmente troverebbe applicazione per un singolo insetto.
Diverso il caso delle specie tutelate, come le api: per loro esistono norme specifiche che ne vietano l’uccisione in ogni forma. In quei casi, anche la distruzione involontaria di interi alveari può comportare sanzioni amministrative o denunce penali. Esistono poi ordinanze locali che tutelano habitat e biodiversità, con multe salate per chi viola il regolamento.
In sintesi, l’uccisione volontaria e crudele di un insetto senza motivo può teoricamente costituire reato, ma la pratica giudiziaria e il buon senso rendono altamente improbabile una condanna, se non in contesti specifici. La legge, formalmente severa, viene modulata secondo la proporzionalità degli interessi in gioco e la convenienza pratica del perseguire certe condotte.



