Inquinamento

L’allarme di Greenpeace sulla fast fashion: quanto costa all’ambiente l’e-commerce

Il grave fenomeno della fast fashion è un problema che provoca l’inquinamento: l’impatto ambientale è deleterio. Cosa spiega Greenpeace. 


I resi online sono una pratica spesso utilizzata dai consumatori che, infatti, scelgono di ridare indietro un capo acquistato. Greenpeace lancia intanto l’allarme e parla di un forte impatto ambientale.

I numeri non mentono e la pratica è diventata una consuetudine insostenibile da un punto di vista del rispetto per l’ambiente. Il fenomeno si chiama fast fashion e proprio i dati offrono un quadro preoccupante.

Allarme fast fashion: cosa è emerso

L’inchiesta di Greenpeace è stata condotta grazie alla collaborazione con Report. Nel caso specifico attenzione all’impatto dei resi nel settore fast fashion che avviene tramite le piattaforme di acquisti online (in gergo e-commerce ndr). E proprio con gli acquisti di 24 capi di abbigliamento, infatti, Greenpeace ha nascosto dei localizzatori GPS nei vestiti, così da tracciarne i viaggi.

I capi fanno parte di spedizioni avviate da grandi colossi dell’e-commerce come H&M, Zalando, Amazon e via dicendo. Ebbene sì, in 58 giorni i pacchi hanno percorso qualcosa come 100mila chilometri, attraversando 13 Paesi in Europa e anche in Cina. Una media di oltre 4.500 chilometri per ogni consegna e reso. Nel caso specifico, inoltre, i capi sono stati resi in 29 occasioni, venduti e rivenduti 40 volte, ma il 58% non sarebbe stato invece rivenduto.

conseguenze fast fashion ambiente
La delicata questione del fast fashion e le conseguenze per l’ambiente – biopianeta.it

I mezzi per il trasporto più gettonati sono il camion, seguito da aereo. Ma non mancano in questo caso anche i furgoni e le navi. A facilitare tutto questo processo di reso è la gratuità del processo, non senza però conseguenze per l’impatto ambientale. E proprio quasi 6 capi su 10 oggetto di resi evidenzia la tendenza allo shopping compulsivo e dalla tendenza preoccupante.

A questo bisogna aggiungere il costo per i trasporti e anche per il packaging che creano in media 2,78 kg di anidride carbonica equivalente. L’abbigliamento e gli acquisti online sono una pratica molto attiva anche in Italia, specialmente fra i più giovani che prediligono il digitale.

Non bisogna inoltre dimenticare, sempre secondo Greenpeace, che ogni anno nell’Unione Europea si gettano via qualcosa come 5,8 milioni di tonnellate di prodotti tessili. Si tratta di un dettaglio allarmante: circa 12 chilogrammi a persona.

Conti alla mano, quindi, si tratta di un settore non in grado di riciclare i tessuti misti. La tendenza all’acquisto, con tanto di processo di usa e getta, sono un problema, senza dimenticare bassa qualità dei capi e produzione in enormi quantità. Una filiera che, in conclusione, penalizza l’ambiente e mette a dura prova lavoratrici e lavoratori.

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