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Fracking, tutti i dubbi degli scienziati Usa

Il fracking torna a fare notizia. Come noto anche al grande pubblico – grazie all’istruttivo documentario realizzato dal regista americano Josh Fox – si tratta di una nuova tecnica di estrazione del gas dalle rocce che da una decina d’anni a questa parte si sta diffondendo sempre più velocemente negli Stati Uniti. In effetti la parola fracking è una abbreviazione dell’espressione “hydraulic fracturing” che significa fratturazione idraulica. Queste due parole racchiudono tutto il concetto del fracking: frantumare la roccia usando fluidi saturi di sostanze chimiche e iniettati nel sottosuolo ad alta pressione.unnamed Il fracking è un modo “non convenzionale” per estrarre gas da roccia porosa di origine argillosa detta scisti (shale in inglese), le cui vacuità ospitano in prevalenza metano. Con le tecniche “tradizionali” questo gas non potrebbe essere estratto, visto che il gas è intrappolato in una miriade di pori sotterranei e la classica trivella verticale non arriverebbe ad aprirli tutti. In queste settimane si torna a parlarne perché una commissione indipendente di scienziati ha recentemente scritto una lettera aperta a Gina McCarthy, l’amministratrice dell’Environmental protection agency Usa (Epa), per chiederle di chiarire perché nella bozza di un rapporto sul fracking l’Epa scrive che mancano le prove di impatti diffusi sull’acqua delle operazioni di fratturazione idraulica per estrarre gas e petrolio. La relazione finale dell’Epa sul fracking potrebbe essere pubblicata già il prossimo anno. A nome dei loro colleghi, Peter Thorne, a capo del Chair Science advisory board (Sab) dell’Epa, e David Dzombak Chair, che presiede l’Hydraulic fracturing research advisory panel (Hfrap), si dicono preoccupati per la mancanza chiarezza della bozza del rapporto 2016 e per l’inadeguatezza nel sostenere «alcuni importanti risultati» che si trovavano nel rapporto Epa di valutazione del fracking l’Epa pubblicato nel 2015. «L’Epa non ha supportato quantitativamente la sua conclusione sulla mancanza di prove per i diffusi impatti sistemici della fratturazione idraulica sulle risorse di acqua potabile, e non ha chiaramente descritto il/i sistema/i interessato/i (ad esempio, le acque sotterranee, le acque di superficie), la scala degli impatti (ad esempio, locali o regionali), né le definizioni di “sistemica” e “diffusa”», si legge nella lettera/rapporto. Il Sab che contesta la bozza Epa sul fracking è composto da trenta esperti e raccomanda anche all’Epa di rivedere la «limitatezza di dati significativi e le incertezze» contenute nei principali risultati della relazione fracking, un documento che condensa la letteratura scientifica disponibile e i dati sui potenziali impatti della fratturazione idraulica. Inoltre, secondo gli scienziati del Sab e dell’Hfrap, l’Epa dovrebbe presentare informazioni tossicologiche sulle sostanze chimiche impiegate nel fracking, in «maniera più inclusiva», e riconoscere i molti impatti che la fratturazione idraulica ha sulle risorse di superficie o sotterranee.


 

 

 

Le conseguenze del  fracking: allarme terremoti

 

Con il fracking quindi vengono iniettate sostanze chimiche, sabbia e acqua nei pozzi per frantumare gli scisti ed estrarre petrolio e gas. Dopo il boom fracking iniziata a metà degli anni 2000 negli Usa, si susseguono rapporti di comunità locali, università e associazioni ambientaliste che collegano il fracking all’inquinamento delle falde idriche e che hanno scatenato polemiche e proteste sugli effetti che fracking ha sull’ambiente e sulle acque sotterranee. Nel corso degli anni il fracking è stato anche associato a terremoti. unnamed (2)L’United States Geological Survey (USGS) ha pubblicato le prime mappe che identificano i pericoli di terremoti sia naturali che indotti dalle attività antropiche. In passato, le mappe USGS identificavano solo i rischi di terremoto naturali. I terremoti indotti sono innescati dalle attività umane e la causa primaria in molte aree dei CEUS è lo smaltimento delle acque di risulta dei pozzi petroliferi e gasieri realizzati con la tecnica del fracking, che vengono iniettate in pozzi sotterranei profondi, sotto le falde acquifere che forniscono acqua potabile. Le nuove mappe forniscono sia la situazione dei terremoti nell’ultimo anno che una previsione a 50 anni e il rapporto che le accompagna dimostra che circa 7 milioni di persone vivono e lavorano nelle aree degli Usa centrali e orientali (Central and eastern U.S. – CEUS) dove i terremoti indotti possono provocare danni, ma aggiunge che in poche zone dei CEUS è probabile che i danni provocati dai diversi tipi di terremoti siano simili a quelli dei terremoti naturali nelle aree ad alto rischio della California. Mark Petersen, a capo dell’USGS National Seismic Hazard Mapping Project, spiega che «Includendo gli eventi indotti dall’uomo, la nostra valutazione dei rischi di terremoto è aumentata significativamente in alcune parti degli Stati Uniti. Questa ricerca dimostra anche che molte più aree della nazione devono affrontare una significativa probabilità di avere terremoti dannosi per il prossimo anno, sia indotti dall’uomo che naturali». Come si è visto, è lo smaltimento delle acque di risulta del fracking la principale causa del recente aumento di terremoti nei CEUS e l’UGS evidenzia che «mentre la maggior parte dei pozzi di iniezione non sono associati ai terremoti, alcuni altri pozzi sono stati coinvolti in studi scientifici pubblicati, e molti Stati stanno regolamentando l’iniezione delle acque di scarico al fine di limitare i rischi di terremoto». Non sono le acque reflue del fracking, ma è il fracking vero e proprio a causare i terremoti. Ma i problemi non si fermano qui: la storia recente annovera diversi casi che confermano la pericolosità del fracking nonostante i tentativi delle compagnie petrolifere di rassicurare l’opinione pubblica promuovendo l’affidabilità della tecnica. Una inchiesta del New York Times ha rivelato che i livelli di radioattività rilevati nei pressi di alcuni pozzi in Pennsylvania sono 1.500 volte superiori a quelli contemplati dalla legge. Ma la radioattività sarebbe arrivata anche alle acque reflue di perforazione che confluiscono nei fiumi, spesso gli stessi che riforniscono di acqua potabile gli impianti di depurazione pubblici, con casi conclamati di intossicazione e patologie diffuse tra la popolazione (malattie renali e respiratorie, patologie a carico del fegato, tumori asma) tali da indurre le autorità locali a raccomandare il consumo di acqua in bottiglia. Oltre alla contaminazione dell’acqua, il fracking è causa diretta anche dell’inquinamento atmosferico unnamed (1)causato dal gas naturale sprigionato durante la perforazione. Infine c’è il problema connesso allo smaltimento dei rifiuti prodotti e quello relativo alla generazione di micro-sismi connessi all’attività di fratturazione che, sebbene localizzati e limitati, preoccupano gli esperti per il grado di instabilità a cui espongono gli strati più profondi della terra. È di poco tempo fa, infatti, la notizia di un’immensa voragine che ha inghiottito tre ettari di foresta vicino la cittadina americana di Assumption Parish (New Orleans). Gli interessi economici in ballo sono tanti, e benché la questione abbia aperto un dibattito globale sull’opportunità di vietare l’uso della tecnica, le compagnie energetiche sono sempre più disposte a dare battaglia per accaparrarsi il diritto di continuare a perforare e accedere agli enormi giacimenti bloccati nelle viscere della terra. Gli scienziati lanciano un grido di allarme, mettondo in guardia sulla concreta possibilità che i rischi legati al fracking possano aumentare mano a mano che le compagnie petrolifere e gasiere estenderanno l’uso del fracking nei Paesi in via di sviluppo, dove spesso vivono grandi popolazioni e che hanno infrastrutture molto vulnerabili ai terremoti.

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