Ambiente

Desertificazione, Italia a rischio conca di polvere

La desertificazione costituisce una minaccia sempre più presente per il nostro pianeta. Infatti, nuovi dati impressionanti e sconcertanti, che arrivano dal Centro Nazionale delle Ricerche, prevedono un aumento delle temperature superficiali davvero significative e importanti nel corso di questo secolo, dati che ci toccano molto da vicino: nel giro di poco tempo, infatti, si potrebbe arrivare ad una desertificazione di quasi un quinto del territorio nazionale. A rivelarlo è Mauro Centritto, il direttore dell’istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Cnr: «Il rischio di desertificazione in Italia è molto alto. Specie nel Sud». L’Italia è dunque un paese a rischio desertificazione, o meglio, anzi, peggio, a rischio di quello che gli esperti chiamano “conca di polvere”, vale a dire il punto di non ritorno, laddove non esiste neppure un minimo di biodiversità che anche il deserto garantisce.

9b51f844-6b58-4c16-a6bd-1a35060b7916«Entro la fine di questo secolo le previsioni parlano, per il bacino del Mediterraneo, di aumenti delle temperature tra i 4 e i 6 gradi e di una significativa riduzione delle precipitazioni, soprattutto estive: l’unione di questi due fattori genererà una forte aridità. paradossalmente, mentre per mitigare i cambiamenti climatici sarebbe sufficiente cambiare in tempo la nostra politica energetica, per arrestare la desertificazione questo non sarà sufficiente, poiché il fenomeno è legato anche alla cattiva gestione del territorio», racconta Centritto. Le conseguenze di questa inadeguata gestione sono dunque sintetizzate nella espressione inglese “dust bowlification”, da dust, polvere, e bowl, conca. Purtroppo questo è un concetto ancora peggiore rispetto alla desertificazione, dal momento che anche i più estremi deserti sono comunque degli ecosistemi, mentre le conche di polvere sono purtroppo un punto di non ritorno. Quella della desertificazione rappresenta quindi oggi una delle questioni ambientali più importanti che le nostre società sono chiamate ad affrontare, per le gravi conseguenze che essa porterebbe alla salute umana e dell’ambiente.

 

Il deserto avanza

Con il 21% della superficie a rischio, di cui il 41% al Sud, dunque, l’Italia è lo Stato che in Europa risente di più dei cambiamenti climatici. «Se non modifichiamo l’approccio nei confronti del suolo e dell’agricoltura il nostro Paese dovrà fare i conti con un territorio sempre più impoverito e perfino desertificato», spiega ancora Centritto. Il pericolo è concreto, perché la desertificazione avviene quando il terreno perde fertilità, quando cioè i suoi nutrienti scompaiono e la vita microbiologica, che rende possibile la crescita delle piante, si estingue. L’Italia deve contrastare questo fenomeno e adattare in fretta i propri metodi di coltivazione, se non vuole mettere a rischio non solo il settore economico, ma anche la sicurezza degli italiani. È Coldiretti in particolare a lanciare l’allarme siccità, causato dall’andamento climatico. Nel mese di gennaio è caduta circa il 60% di acqua in meno rispetto alla media, mentre il dicembre dello scorso anno è stato il più secco negli ultimi 215 anni. Sul Po sembra quasi di essere già in estate con livelli idrometrici inferiori di circa due metri rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, secondo le rilevazioni effettuate dalla Coldiretti a fine gennaio. «La situazione – spiegano gli esperti – è grave anche nei laghi, che a fine gennaio si trovano prossimi ai minimi storici del periodo con il lago Maggiore che è al 17% della sua capacità e il lago di Como che è addirittura sceso al 12% mentre quello di Garda al 33%. A preoccupare è la mancanza di neve sulle montagne che rappresenta una scorta importante per garantire gli afflussi idrici determinanti per i raccolti agricoli nei prossimi mesi».

Siccità - in Sicilia - Siccità / Sicilia / Diga di IATO ( Palermo ) uno dei bacini più sfruttati della zona occidentale dell ' isola e per questo rimasto quasi a secco Foto Giorgio Cosulich / TamTam - Fotografo: TamTam - Cosulich

Foto Giorgio Cosulich / TamTam – Fotografo: TamTam – Cosulich

Secondo Coldiretti bisognerebbe quindi intervenire subito, portando acqua ai laghi e alzando il deflusso minimo vitale per evitare i rischi di desertificazione del territorio, che porterebbero a gravi ricadute sull’economia agricola e sull’equilibrio ambientale. Ma perché le zone del sud Italia, da sempre secche, si stanno ulteriormente inaridendo in maniera progressiva? Il primo imputato è sicuramente il cambiamento climatico che ha ridotto le precipitazioni, soprattutto durante i mesi estivi. Ma il problema della desertificazione, oltre a richiedere un’attenzione continua e sistematica attraverso il monitoraggio permanente, necessita dello sviluppo di calibrate strategie di intervento di medio e lungo periodo. Importante è dunque sottolineare che il secondo imputato dell’impoverimento del suolo è l’agricoltura stessa. «Una errata irrigazione può portare alla salinizzazione del terreno e ad un dilavamento dei nutrienti», continua Centritto. «L’utilizzo massiccio di fertilizzanti uccide i microrganismi presenti nel suolo, mentre spesso assistiamo a un compattamento del terreno che ne riduce la permeabilità e provoca dilavamento, oltre ad aumentare il rischio idrogeologico». Per contro, è proprio dall’agricoltura che potrebbe arrivare un importante aiuto per rallentare la desertificazione. Certo, i cambiamenti climatici sono un fenomeno globale che può essere affrontato solo con politiche a livello mondiale, ma per i coltivatori cambiare approccio nei confronti dell’agricoltura è la migliore chance per resistere alla desertificazione. “Stiamo parlando di agricoltura conservativa o di agro-ecologia”, spiega ancora Centritto. Bisognerebbe in primo luogo abbandonare l’agricoltura intensiva che punta alla massimizzazione dei raccolti nel breve periodo, ma che non tiene in considerazione la salvaguardia del suolo. Dall’agricoltura biologica e da quella di precisione può arrivare un aiuto importante. Nel primo caso perché la salute del terreno viene messa al primo posto. Nel secondo perché si cerca di massimizzare la produzione minimizzando l’intervento antropico, con meno fertilizzanti, acqua e agrofarmaci e solo quando e dove serve. L’Italia è a rischio, dunque, ma non solo la nostra nazione lo è, e diventa essenziale, oggi più che mai, non sottovalutare, a livello mondiale, che il dramma, oltre ad essere ecologico, è umano. Si stima infatti che nelle aree aride vivano circa due miliardi di persone, una marea umana che non esiterà a riversarsi sulle frontiere dei Paesi più sviluppati in cerca di cibo e possibilità di sopravvivenza.

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